MONASTERO E CHIESA

Il Monastero

La struttura dove ora sorge il Seminario nasce, nella sua parte più antica, nel 444 come Palazzo Arcivescovile, il quale, comprendeva un’area diversa dall’attuale. Parte della struttura venne demolita nel 1183 sotto l’Arcivescovo Offamilio per la costruzione della nuova Cattedrale. La sede, nel 1460, si trasferì nell’attuale Palazzo fatto costruire dall’Arcivescovo Simone Beccadelli di Bologna.

Nel 1512 il palazzo venne ceduto, sotto compenso, ad un gruppo di suore clarisse che volevano vivere l’austerità della regola olivetana. Di fatto poi le monache tornarono a vivere sotto la regola di S. Chiara e non ottemperarono all’impegno di osservare la regola più austera delle Olivetane. Le monache vi rimasero fino al 1860, anno della soppressione degli ordini religiosi e della confisca dei beni ecclesiastici.

Rimasto abbandonato per diversi anni venne, in un primo tempo, impiegato per usi vari. Nel 1946, per volere del Card. Ruffini, divenne sede del Seminario Arcivescovile col titolo di “S. Mamiliano”, vescovo e martire. Solo nel 1996 divenne piena proprietà del Seminario attraverso un accordo tra Ministero dell’Interno e l’Arcidiocesi di Palermo nella persona del Cardinale Salvatore Pappalardo (targa posta accanto all’ingresso principale).

La Chiesa

Dopo la prima cappella costruita nel 1512, le monache francescane ampliarono il complesso tra il 1622 e il 1628.

Il prospetto è animato da giochi cromatici di tufo e di intonaci. Nell’ordine inferiore il portale, fiancheggiato da due colonne, sorregge il timpano che ospita lo stemma marmoreo dell’ordine francescano, opera di Ignazio Marabitti. Nella nicchia centrale vi è posta la statua di Santa Maria di monte oliveto. Nell’ordine superiore un fantasioso gioco di losanghe e lesene affiancano una finestra circolare. Il prospetto si conclude con le logge del belvedere con ornamenti in stucco.

L’interno, ad unica navata, con due altari per lato e un coro all’ingresso sostenuto da quattro colonne di ordine tuscanico in marmo grigio di billiemi, riprende lo schema iconografico delle chiese di conventi femminili.

Le pareti della navata sono scandite da paraste e stucchi illuminate, solo da destra, con grandi finestre.

Il sottocoro

Perfetto accordo armonico tra pittura e scultura,

  • Gli stucchi ad opera di Giuseppe e Giacomo Serpotta (1639 ca.)
  • Gli affreschi attribuiti a Filippo Trachedi rappresentano soggetti tutti afferenti all’iconografia mariana: Al centro la gloria della Vergine sormontata dal Padre Eterno con ai lati i genitori, Anna e Gioacchino, ai lati due angeli e in basso in dragone dell’Apocalisse. Negli altri riquadri putti con simboli mariani: il pozzo, la torre, il giglio, le rose, lo specchio, la luna e il sole.

Alle pareti del vestibolo, quattro affreschi (Filippo Tancredi) entro cornici mistilinee dorate, con episodi della vita di Santa Rosalia, (S.R. accompagnata dagli angeli, S.R. incide l’epigrafe della Quisquina, la comunione di S.R. e le nozze mistiche di S.R.)

Le Cappelle Laterali

Primo altare a destra

Consegna del Cordiglio francescano a S. Luigi di Francia, 1633. Opera del monrealese Pietro Novelli, in piena conformità con lo stile del suo tempo (sapore Caravaggesco e Vandyckiano) raffigura S. Francesco che, guardando dall’alto, assiste e benedice quanto compiono il viceré di Spagna, l’Arcivescovo e S. Benedetto il moro. In origine rettangolare, è stato adattato alla nicchia della Cappella che tutt’ora lo ospita.

Primo altare a sinistra

Santi Martiri, ad opera del Martorana, 1765. La pala raffigura alcuni uomini che stanno per subire il martirio: alcuni sono legati alla colonna, altri sono sbattuti nella roccia mentre qualcuno è già morto a terra. In alto, in questo cielo sereno che accoglie un evento straziante, gli angeli accolgono festanti i novelli martiri portando loro le corone di gloria.

 Secondo altare a destra

Campeggia un piccolo tabernacolo con porticina in argento sbalzato. Rinnovata in stile neoclassico, la nicchia ospita una imponente statua in marmo bianco di Carrara della Madonna con Bambino, (iconografia tipica della Madonna di Trapani) Ad opera dello scultore Filippo Pennino, datata 1758.

Secondo altare a sinistra

Crocifisso e reliquiario. Questo altare è sovrastato da un imponente crocifisso dolorante, con lo sguardo straziato rivolto verso il basso. La croce è in agata ed è attorniata da reliquie di santi martiri, protette da vetri incastonati in un unico complesso parietale di cornici in legno dorato finemente scolpiti.

La Volta

Campita entro cornici di forte risalto plastico in stucco e oro, ospita i meravigliosi affreschi di Pietro Novelli (detto il Monrealese) eseguiti tra il 1633-34. Nell’ottagono centrale, con un forte impatto prospettico, si apre la teatrale Ascensione di Cristo che rivolge il suo sguardo al Padre, pronto ad accoglierlo. Sopra il Padre e il Figlio troviamo lo Spirito che, nella sua luce penetrante, irradia entrambi ad indicare l’unica radice trinitaria. Il Cristo è osservato dai profeti e sibille nella parte bassa, tra i quali si distingue Mosè con la tavola della Legge e altre figure che portano cartigli. Sopra di lui troviamo ad accoglierlo non solo le altre due persone della Trinità, ma anche le schiere angeliche costituite da diversi puttini. Si può perfettamente rintracciare la struttura conica spaziale della pittura. Nelle lunette laterali, le storie di S. Francesco e santi francescani. Nei pennacchi putti con i simboli della passione.

 

La decorazione in stucco della navata e dell’arco trionfale, con la Madonna di monte oliveto, è di Giovanni Serpotta (1758)

L'Altare Maggiore

L’Altare Maggiore, in agata pietre dure e rame dorato, opera firmata dall’architetto Nicolò Puglia del 1818. Dello stesso anno è la grande tela raffigurante l’allegoria della redenzione di Giuseppe Patania. In se, figura vari registri che si differenziano per temi e colori. Se ne distinguono tre. La più bassa presenta Adamo ed Eva in preghiera per il peccato commesso: Adamo supplicante guarda ed implora verso l’alto, Eva è accasciata sulla pietra dal dolore, tanto da non vederne il volto. Tre angeli portano la croce, uno porta la corona di spine e i chiodi, mentre un altro attinge col calice il Sangue di Cristo. Qui i colori si vanno schiarendo e le figure diventano anche più nitide e raffinate. L’ultima scena invece vede protagonisti il Figlio e il Padre. A suggellare il tutto è lo Spirito Santo, rappresentato sotto forma di colomba.

La sacrestia

Nota come “cappella delle sorelle Spatafora “, abbellita da affreschi di Filippo Tancredi (1697ca.): al centro vi è l’incoronazione della Vergine, nei riquadri laterali scene della vita della vergine. A fianco un prezioso altare in marmi mischi e ai lati due teatrini con scene della Natività e della Presentazione al Tempio, attribuite a Procopio Serpotta (1715 ca)

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